Nelle immagini virtuali e reali una breve storia dei BEV (Battery Electric Vehicle), veicoli elettrici a batteria, a Roma.
Anche se la storia è iniziata nel 1892 (ben 133 anni fa!) assomiglia molto ad un feuilleton (un romanzo di appendice) a varie puntate, separate spesso da decenni.
La prima puntata è iniziata addirittura 2 anni prima della messa in esercizio del primo tram con presa di corrente da filo aereo (quello che conosciamo oggi), quando la SRTO (Società Romana Tramway ed Omnibus), che gestiva la rete di tram a cavalli di Roma, decise di sperimentare una motrice a batteria (modificando una vettura a cavalli), equipaggiandola con un motore elettrico Oerlikon ad eccitazione in serie, alimentato da 2 accumulatori al piombo con gelatina da 40 elementi ciascuno, accoppiabili in vario modo.
L'accumulatore (costituito da lastre di piombo Pb immerse in un elettrolito ad acido solforico H2SO4, estremamente tossico, se inalati i suoi vapori) era stato inventato solo nel 1859 (40 anni prima) dal fisico francese Gaston Planté, ma la cui utilità non era stata subito ben recepita, in quanto, non esistendo metodi di produzione non chimica dell'elettricità, non era possibile ricaricarlo una volta esaurita la carica, se non smaltendo il solfato di piombo PbSO4 (anch'esso estremamente tossico e corrosivo) creatosi nella reazione per la produzione della corrente, che andava sostituito con del nuovo elettrolito.
Solo nel 1869 (10 anni dopo) fu possibile la ricarica non chimica con l'invenzione della dinamo, dovuta all'italiano Antoni Pacinotti, che consentiva di produrre energia elettrica da energia meccanica.
La vettura, del peso a vuoto di 5500 kg, con l'aggiunta degli accumulatori che pesavano 1600 kg, portò il peso in ordine di marcia a 7100 kg, il che praticamente consentiva il trasporto solo degli accumulatori e di 32 passeggeri a sedere (carico pagante), con una velocità paragonabile a quella di un uomo che camminava a piedi.
Per l'esperimento fu utilizzato un tratto di linea che andava dall'attuale via Giolitti al deposito di Porta Maggiore; in seguito furono attivate anche altre linee per il normale esercizio, tutte facenti capo a piazza Venezia.
Inutile dire che non ebbero molto seguito, viste le immaginiamo vivaci proteste dell'utenza che spesso doveva sopportare le potenziali venefiche esalazioni dell'acido solforico contenuto negli accumulatori montati sotto i sedili longitudinali delle vetture.
E così per la seconda puntata bisognerà aspettare il 1924, ben 32 anni dopo.
Ma la tecnologia era sempre la stessa, soltanto che stavolta si decise di applicarla non a mezzi su ferro ma gommati.
Vennero quindi acquistate da STU (Società Anonima Trasporti Ugolini), che gestiva la rete di autobus della città, 23 vetture (chiamate Autoelettriche con sistema Hensemberger), alle quali 3 anni più tardi se ne affiancheranno altre 20, quando il servizio sarà incorporato nella rete ATAG (Azienda Tramvie e Autobus del Governatorato).
Ma, a parte la flotta abbastanza nutrita, i problemi non erano cambiati affatto (basse velocità, limitata durata e basso rendimento delle batterie, difficile e costosa manutenzione delle stesse per la continua necessità di rabbocchi all’elettrolito) e quindi dopo qualche anno di esercizio tutto venne di nuovo accantonato per arrivare alla terza puntata.
Che iniziò nel 1984 (ben 60 anni dopo) quando ATAC (Azienda Tramvie e Autobus del Comune) in collaborazione con IVECO cominciò la sperimentazione di un minibus Daily 40E a trazione elettrica ad accumulatori.
Nel 1986 vennero acquistati 8 autoveicoli Daily 49E per l'esercizio della linea circolare 119, che attraversava il Tridente, con unico capolinea a piazza Augusto Imperatore, ove venne anche installata una piccola stazione di ricarica da effettuare durante le soste.
La tecnologia delle batterie dopo 94 anni dai primi esperimenti era praticamente ancora la stessa e quindi anche questo tentativo era destinato ad esaurirsi ben presto.
E così arriviamo alla quarta puntata che iniziò nel 1996 (solo 10 anni dopo) quando un'azienda del frusinate (Tecnobus) immise sul mercato dei minibus Gulliver USP 500 con batterie ancora al piombo ma che ben presto sostituirà con altre a più alte prestazioni (batterie ZEBRA).
Si creò per la prima volta una cospicua flotta (oltre 100 veicoli) di cui una trentina andranno a fuoco nell'incendio della rimessa Trastevere nel 2009.
I sopravvissuti saranno revampinzati e fanno tutt'ora servizio anche sulla linea 119, che ancora attraversa il Tridente.
La quinta puntata cominciò nel 2005 quando ATAC decise, dopo 33 anni dallo smantellamento di una delle reti filoviarie più grandi d'Europa, di tornare all'esercizio di una linea di filobus.
Lo fece approvvigionandosi di 30 vetture articolate Solaris-Ganz Trollino 18 che immise sulla linea 90, praticamente rettilinea, che dalla Stazione Termini portava a Monte Sacro.
Onde evitare la stesura del doppino aereo di alimentazione da Porta Pia a Termini i veicoli erano dotati anche di batterie per la marcia autonoma su questo tratto.
Anche se si trattava di batterie al Nichel Metal Idruro di fatto questa tecnologia non era ancora matura per affrontare anche brevi tratti di linea con carichi non indifferenti e quindi gran parte della flotta fu poi affiancata con filobus BredaMenariniBus Avancity+ HTB bimodali (bifilare/motore diesel).
Non possiamo non menzionare anche una sperimentazione (che tale è rimasta) di un veicolo Chariot Smartbus non a batterie ma a supercapacitori, che hanno la particolarità di avere dei tempi di ricarica molto brevi.
Fu impiegata nel 2021 sulla linea 64 da Termini alla Stazione di S. Pietro, ove fu installata una stazione di ricarica.
E siamo alla sesta ed ultima puntata (che speriamo sia tale) con l'arrivo nel 2025 dei primi IVECO eWay, che adottano una tecnologia di batterie al Nichel Manganese Cobalto, che dovrebbero garantire una vita operativa molto più prolungata.
La flotta sarà nutritissima (411 veicoli) e quindi non sarà possibile sbagliare.
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